
VERDICCHIO DEI CASTELLI DI JESI DOC
Un vino “odorifero e soave”
Come per molti altri vitigni marchigiani, anche la storia del Verdicchio dei Castelli di Jesi è strettamente legata alla diffusione e all’opera dei monaci benedettini e camaldolesi progressivamente insediatisi nella regione durante l’epoca medievale. Questi, infatti, oltre a contribuire alla ripresa dell’attività di produzione vitivinicola, idearono nuove e più innovative tecniche di lavorazione e conservazione del prodotto finale. Fra le prime importanti testimonianze in cui figura il nome del Verdicchio, troviamo uno scritto dello spagnolo Herrera, ai tempi professore a Salamanca, il quale descrive il pregiato vitigno come: «uva bianca che ha il granello picciolo e traluce più che niuna altra. […] Ha la scorsa molto sottile e tenera, […] ricerca luogo asciutto e non ventoso, molto alto nei colli. Il vino di questo vitame è migliore di niuno altro bianco. Si conserva per lungo tempo, è molto chiaro, odorifero e soave».
La DOC del ’68
Che si trattasse di un vino di qualità doveva essere ben chiaro sin dall’Ottocento: risale infatti al 1881 la classifica stilata dal Di Rovasenda in cui il Verdicchio è dichiarato il vitigno italico a bacca bianca più pregiato delle Marche. Un ulteriore importante riconoscimento in questo senso arriva nel 1968; anno in cui viene ufficialmente creata la Denominazione di Origine Controllata “Verdicchio dei Castelli di Jesi”, applicabile, oltre alla versione “base”, anche a quelle Spumante, Passito, Classico e Classico Superiore. Tutti i vini della DOC devono essere ottenuti a partire, almeno per l’85%, dalle uve del vitigno Verdicchio, a cui possono essere aggiunte, per un massimo del 15%, uve provenienti da altri vitigni, purché sempre a bacca bianca e coltivati in territorio marchigiano.

Caratteristiche organolettiche
È ai suoi riflessi tendenti al verdognolo che il Verdicchio deve il suo nome. E alla sua struttura e profumo deve invece la nomea di vino pregiato e raffinato. Odorandolo e degustandolo, possono avvertirsi lievi sentori di biancospino, pesca, mela, fiori di campo, agrumi e, a concludere questo trionfo di note olfattivo-gustative, mandorla amara. Freschezza, sapidità e armonia costituiscono il trittico di parole che meglio descrive la DOC “Verdicchio dei Castelli di Jesi”, in tutte le sue differenti declinazioni.
Le terre della valle Esina
La zona di produzione della DOC ricade nelle province di Ancona e Macerata, storicamente definite “Castelli” in quanto gravitanti attorno alla politica ed economia della vicina Jesi. Le condizioni pedoclimatiche di questa zona, che si distribuisce sulle sinuose colline circondanti la valle Esina, influenzano largamente le caratteristiche tipiche del vitigno Verdicchio e del vino che se ne produce. Fondamentale è senza dubbio l’apertura sul mare Adriatico a cui si aggiungono l’ideale esposizione alla luce e calore solari, la moderata ventilazione, nonché il riparo dalle intemperie garantito dalla vicina presenza delle montagne. L’insieme di queste condizioni contribuisce a creare un clima temperato, particolarmente adatto alla coltivazione della vite, oltre che di numerosi altri prodotti tipici dell’agricoltura mediterranea.
Un vino “reale”
A metà strada tra leggenda e realtà, si narra che il re dei Visigoti Alarico, durante la sua discesa verso Roma – che si concluse col disastroso sacco della città avvenuto nel 410 d.C. –, fornì ai suoi soldati del Verdicchio per ristorarsi e acquistare nuovo vigore in vista della missione bellica che li attendeva. Ad eleggerlo vino degno di un re non è però solo la storia di Alarico, ma anche un importante medico, filosofo e scrittore vissuto nel Cinquecento in terra marchigiana: Andrea Bacci. Nella sua nota opera De naturali vinorum historia, il Verdicchio è infatti descritto come il re di tutti i vini.
La grande Sagra del Verdicchio
Per degustare e festeggiare il Verdicchio dei Castelli di Jesi non mancano certo le occasioni. Tra le numerose feste organizzate in onore del rinomato vino, la più longeva è senza dubbio la Sagra dell’Uva di Cupramontana, la cui prima edizione risale addirittura al 1928. La fiera – organizzata ormai da molti anni durante la prima domenica di ottobre – si ispira alle antiche festività romane conosciute coi nomi di Liberalia, Meditrinalia e Vinalia con le quali, appunto, già all’epoca si festeggiavano i preziosi doni dell’uva e del vino.